Diabete: 7 cose che (forse) non sapevi

Diabete: 7 cose che (forse) non sapevi
  • Il diabete è una malattia in costante aumento, non solo nei paesi industrializzati, ma anche in quelli sottosviluppati. Attualmente circa 350 milioni di persone in tutto il mondo convivono con questa patologia, che solo in Italia interessa il 4,9% della popolazione. Fortunatamente, il diabete è anche uno dei problemi più studiati, per il quale la ricerca ha fatto notevoli passi in avanti.

Infatti, non mancano le novità come i nuovi farmaci, le sperimentazioni di vaccini e lo studio di terapie chirurgiche, come il trapianto di pancreas.

DIABETE TIPO 1 Si verifica quando l’organismo, per la precisione il pancreas, non riesce a produrre l’insulina a causa della distruzione delle cellule beta (cellule pancreatiche produttrici dell’ormone suddetto). È la forma di diabete meno comune e viene quasi sempre diagnosticato nell’infanzia.

DIABETE TIPO 2 Si verifica quando il pancreas non riesce a far fronte all’aumentata richiesta di insulina da parte dell’organismo causata dalla resistenza insulinica.

INSULINA Ormone prodotto dal pancreas, che permette allo zucchero di entrare nelle cellule per nutrirle. Il diabete nasce quando lo zucchero non riesce a passare nelle cellule, ristagnando in quantità nel sangue. Si è già nella condizione della glicemia alta.

RESISTENZA INSULINICA Vuol dire che le cellule fanno fatica a trasformare lo zucchero in energia, quindi quantità maggiori dei zucchero rimangono nel sangue.

La Nordic Walking Passion ringrazia la gentile collaborazione del Prof. Claudio Borghi, Professore di Medicina Interno presso l’Università di Bologna, Ospedale Sant’Orsola-Malpighi.

I TRUCCHI PER ABBASSARE L’INDICE GLICEMICO È utile per un diabetico imparare a distinguere gli alimenti in base all’indice glicemico (leggi: l’indice glicemico dei cibi). Questo parametro indica quanto velocemente il glucosio presente nei cibi viene assorbito dal sangue. «Quando mangiamo un alimento ricco di carboidrati, i livelli di glucosio nel circolo sanguigno aumentano progressivamente, man mano che gli amidi e gli zuccheri vengono digeriti e assimilati», spiega Giorda. «La velocità di questi processi cambia a seconda dell’alimento e del tipo di nutrienti che contiene, dalla quantità di fibra presente e dalla composizione degli altri cibi già presenti nello stomaco e nell’intestino». L’indice glicemico riguarda, dunque, soprattutto i cibi ad alto contenuto di carboidrati, mentre quelli ricchi di grasso o di proteine non hanno un effetto immediato sui livelli di zucchero nel sangue (glicemia), ma ne determinano un tardivo incremento prolungato. L’indice glicemico è influenzato dalla composizione degli alimenti, ma anche dai metodi di cottura. «Tendono a ridurlo, per esempio, la parziale bollitura (gli spaghetti al dente e non scotti si confermano buoni in ogni senso) o il raffreddamento degli alimenti cucinati, come

le patate bollite (leggi: patate? Meglio bollite e fredde)», aggiunge Ferrari. «Anche la presenza di cibi con fibre solubili, capaci di assorbire elevate quantità di acqua, formando nell’intestino una sorta di gel, aiuta ad abbassare l’indice glicemico». Ma cosa succede, invece, se si abbonda con i cibi ad alto indice glicemico? «L’aumento rapido dei livelli di glicemia nel sangue provoca la secrezione da parte del pancreas di grandi quantità d’insulina», continua Ferrari. «E l’insulina causa un rapido utilizzo del glucosio da parte dei tessuti, così che dopo due-tre ore dal pasto si determina un’ipoglicemia, con conseguente sensazione di fame e di un certo malessere. Se si ingeriscono altri carboidrati per fronteggiare la fame, si stimola una nuova secrezione di insulina e si entra in un circolo vizioso». Non è l’unico pericolo. «Spesso il corpo non usa tutto il glucosio, che così viene trasformato in tessuto adiposo», continua Ferrari. «Le riserve di grasso non utilizzate si accumulano e generano sovrappeso». Non tutti gli studiosi, però, valutano allo stesso modo l’utilità dell’indice glicemico. «L’American diabetes association (Ada) ne ha addirittura messo in dubbio l’utilità clinica, raccomandando di rivolgere più l’attenzione sulla quantità di alimento che sulla fonte dei carboidrati», precisa Giorda.

Dott. Paolo Arbino di OK Salute e Benessere

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